Il permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art.18, comma 6°, T.U. Imm.


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Premessa
settembre 2022
Premessa


gennaio 2006


1.

Il contesto normativo: l’art.18 T.U.Imm.

 

2.

Il permesso di soggiorno di cui al comma 6°
2.1. I soggetti legittimati


2.2. Le condizioni soggettive

2.2.1 Dopo aver terminato l’espiazione di una pena detentiva: in particolare sulla


tipologia di pena

2.2.2 All’atto delle dimissioni dall’istituto di pena e dopo aver terminato l’espiazione


della pena

2.2.3 L’ulteriore presupposto della concreta partecipazione ad un programma di
assistenza e integrazione sociale.

3.

I soggetti titolari del potere di impulso e la competenza del a Questura nel rilascio
3.1 La non ostatività dei reati commessi prima della emanazione del parere
4.

Conclusioni
5.

Appendice: alcuni precedenti giurisdizionali


3


Premessa settembre 2022
Questo articolo costituisce un aggiornamento di quel o pubblicato nel a rivista Diritto, Immigrazione e
Cittadinanza, Franco Angeli Editore, 2006, n.1 con il titolo “Il permesso di soggiorno per motivi umanitari
ex art.18, comma 6°Testo Unico Immigrazione : uno strumento fondamentale per i detenuti stranieri”.

Il testo è sostanzialmente uniforme al precedente, salvo che per l’inserimento alcuni più recenti
riferimenti giurisprudenziali e per la riformulazione di alcune frasi o paragrafi al fine di una maggiore
comprensibilità o per tener conto del e sopravvenute modifiche normative (seppur minime). Infine, nel
secondo paragrafo è stata reintrodotta una breve il ustrazione del a ratio legis seguita dalla norma,
inizialmente eliminata in fase di pubblicazione per ragioni di sintesi.


L’aggiornamento è stato possibile grazie al supporto di Giulia Crescini.

Premessa gennaio 2006

Il presente lavoro nasce dalla esigenza di realizzare una lettura aggiornata e di fornire strumenti
operativi per l’applicazione del ’istituto di cui al 6° comma del ’art. 18, Testo Unico Immigrazione
(D.lgs 286/98).

Il permesso di soggiorno previsto da questa disposizione rappresenta, infatti, un importante
strumento di supporto per i cittadini stranieri che hanno scontato (o stanno ancora eseguendo)
una pena detentiva, con grandissime potenzialità applicative in termini di progettualità del
neomaggiorenne in Italia. Tuttavia, questo istituto ha trovato scarsa applicazione, a fronte di uno
sviluppo sistematico del ’analogo strumento sancito nei commi precedenti del a medesima
disposizione.

Ciò stupisce tanto più se si pensa che la categoria protetta dalla norma giuridica è composta da
cittadini stranieri, presumibilmente di giovanissima età, che avendo commesso un reato in Italia si
trovano in una posizione di fragilità giuridica oltre che sociale e affettiva.

Una spiegazione, come sempre, risiede nel principio per il quale tanto più debole è il soggetto
sociale, tanto più scarsa sarà la sua capacità di pressione politica e dunque la possibilità di ottenere
tutela.


1. Il contesto normativo: l’art.18 T.U.Imm.

La norma in esame si inserisce in un contesto normativo più ampio, di cui rappresenta una sorta di
appendice e del quale rispetta in pieno la ratio legis.

Infatti, l’art.18 del D.Lgs 286/98 nei suoi primi commi, come è noto, prevede la possibilità di
rilasciare un titolo di soggiorno per casi speciali a favore di coloro che presentano i seguenti requisiti:
1. essere cittadini stranieri (o comunitari ai sensi del ’art. 18 comma 6 bis previsto accesso al
programma unico); 2. aver subito violenza o essere stati sfruttati in modo grave, in una qualsiasi
forma (lavorativa, sessuale, criminale ecc.); 3. che ricorra un pericolo di vita per sè o per i propri
familiari, come conseguenza del a scelta di sottrarsi alla violenza o allo sfruttamento.

Non si richiede necessariamente la denuncia degli agenti sfruttatori, appunto perché la ratio
sottesa non è - in prima battuta - la prevenzione criminale, quanto piuttosto la tutela del e persone
straniere che hanno subito una coercizione o un inganno che le ha condotte a comportamenti leciti
o il eciti da cui lo sfruttatore/reti criminali hanno tratto vantaggio.

La norma, dunque, mira a tutelare le persone straniere vittime di inganno o coercizione che
decidono di fuoriuscire da tale situazione. Lo strumento di tutela previsto è costituito da un
programma di protezione ed “inserimento” sociale e da un permesso di soggiorno per casi speciali
che consente di regolarizzare la persona in modo stabile, permettendole di lavorare e di ottenere
successivamente un ordinario permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro. La scelta degli
strumenti è dettata dalla vulnerabilità peculiare del e persone straniere che in questo caso si trovano
escluse dal contesto sociale italiano e prive del a possibilità di regolarizzare la propria presenza sul
territorio nazionale e per questo a rischio di re-trafficking
La categoria dei potenziali destinatari non prevede eccezioni o specifiche di sorta, relative all’età,
al sesso o alle vicende giudiziarie di cui si è eventualmente stati destinatari. Peraltro, quest’ultimo
aspetto appare aderente alla realtà specifica del contesto sociale preso in esame. Infatti, molto
spesso la persona sfruttata risulta avere consumato reati, spesso legati al mancato rispetto del e
norme sul a immigrazione, sul o spaccio di sostanze stupefacenti, sul a dichiarazione di false
generalità, e così via.

Ciò non impedisce, e non ha impedito, l’applicazione del ’art.18 e il rilascio del permesso di
soggiorno per motivi umanitari (adesso per casi speciali), anche nel caso di condanna definitiva, sia
nel e ipotesi di pena già scontata che in via di esecuzione. A ulteriore riconferma, si rileva l’esistenza
di realtà associative/Enti Pubblici che agiscono prevalentemente in carcere, inserendo nei propri
programmi persone ivi presenti in via cautelare o con sentenza definitiva.

Ciò evidenzia come, in relazione al permesso di soggiorno per casi speciali ex art. 18 T.U.Imm, non
trovino applicazione le norme che nel a commissione di determinati reati vedono un ostacolo,
tendenzialmente insuperabile, alla regolarizzazione del a persona straniera. La ratio ancora una volta
è chiara: la regolarizzazione si nega alle persone straniere che in via presuntiva risultano
potenzialmente pericolose perché hanno già commesso un reato, per il quale ci sia stata condanna
o addirittura sia stata scontata la pena. La persona vittima di coercizione o inganno, viceversa, se ha
commesso reato lo ha fatto perché costretta o aggirata, conseguentemente non nasce nei suoi
confronti quel a presunzione di pericolosità che sta a fondamento del ’impedimento alla
regolarizzazione.

La commissione di un reato o l’espiazione di una pena anche detentiva e seppur definitiva non
interferiscono in alcun modo, dunque, con l’avvio o la prosecuzione di un ordinario programma
art.18, che a tale evenienza rimane “indifferente”.

Queste minime il ustrazioni del ’istituto sancito nei primi commi del ’art.18 giovano a individuare
la natura, la ratio, i destinatari e requisiti del ’analogo strumento di cui al comma 6° del a
disposizione medesima.


2. Il permesso di soggiorno di cui al comma 6°

L’art.18, comma 6 recita testualmente: « Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo può
essere altresì rilasciato, al ’atto del e dimissioni dal ’istituto di pena, anche su proposta del
procuratore del a Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale dei minori, al o straniero
che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva, inflitta per i reati commessi durante la minore
età e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale».

Come si è detto, l’art.18, comma 6 ha come principali destinatari le persone straniere che hanno
commesso un reato da minorenni, dettando a tal proposito una regola aggiuntiva a quel a
precedente.

Lo strumento qui previsto va a tutelare una situazione ulteriore, accomunata alla precedente dalla
identità di ratio e di modalità attuative, ma differente nei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti.

Infatti, la prima parte del ’articolo 18 è finalizzata a tutelare le persone straniere che si trovano in
una condizione di particolare vulnerabilità e che mostrano un interesse ad intraprendere un percorso
di radicamento nel a società italiana. Tale situazione di fragilità socio-giuridica è individuata nel fatto
di aver subìto un grave sfruttamento o una violenza e si ritiene di poter tentare di rimediarvi
mediante la possibilità di accedere a un percorso di “protezione sociale” e il rilascio di un permesso
di soggiorno.

Al comma 6, il legislatore individua una analoga situazione di vulnerabilità che reputa altrettanto
bisognosa di tutela. Si tratta del a posizione di chi ha commesso un reato durante la minore età, ossia in quel a fase del a vita caratterizzata da una maturità non compiuta e da un percorso formativo
non ancora portato a termine. In rispetto ai dettami internazionali e nazionali sul a difesa dei diritti
del fanciul o, il legislatore italiano ha così opportunamente ritenuto utile tutelare la posizioni del e
giovani persone straniere che, da una parte, hanno commesso un reato mostrando seri ostacoli in
un percorso di crescita completo e, dall’altra, hanno manifestato concretamente la volontà di essere
supportate in un percorso alternativo. Inoltre, il legislatore sembra avere apprestato lo strumento di
cui all’art.18, comma 6 anche per rendere praticabile il principio di cui all’art. 27 del a Costituzione,
che attribuisce alla pena il principale scopo del a rieducazione del reo, intesa in termini di
risocializzazione. Non sarebbe, infatti, pensabile una rieducazione del minore cittadino straniero
escludendo sin dal principio ogni possibilità di rimanere sul territorio italiano e regolarizzare la
propria posizione amministrativa. Èinfatti oggettivamente impossibile ed ancor più il ogico
strutturare un percorso di rieducazione di un minore straniero che vive il carcere (o altra misura
limitativa del a propria libertà) con la consapevolezza che una volta terminata la pena, o comunque
raggiunta la maggiore età, dovrà essere coattivamente rimpatriato nel Paese di origine. Invero se
l’obbligo di espel ere la persona straniera resasi colpevole di un reato è in palese contrasto con la
funzione rieducativa del a pena per tutte le persone straniere che si trovino in esecuzione del a pena
in Italia, il legislatore ha ritenuto di dover rimediare a un tale discrasia nei confronti dei minori, anche
in considerazione del a particolare tutela apprestata dall’ordinamento internazionale (oltre che da
quel o interno) al minore e al suo percorso di crescita. In tal senso, l’art.18, comma 6 pone un rimedio
a una tale discrasia: concedendo alla giovane persona straniera di aderire (durante l’espiazione del a
pena) a un programma di risocializzazione e alla regolarizzazione del a propria posizione giuridica sul
territorio italiano, si recupera la funzione rieducativa di cui all’art.27 del a Costituzione e si mostra
una attenzione specifica per i minori in ossequio ai dettami internazionali e come si vedrà, si
apprestano strumenti adatti ad affrontare il peculiare fenomeno dei minori stranieri non
accompagnati.

Concludendo sul punto, la situazione considerata dal legislatore determinante ai fini di una speciale
e aggiuntiva tutela è rappresentata dalla commissione di un fatto il ecito da parte di uno cittadino
straniero minore. Il fatto stesso che un minore (cittadino straniero nel caso specifico) consumi un
reato fa sorgere in capo al legislatore l’idea che vi sia una situazione di vulnerabilità, che in quanto
tale merita una attenzione particolare, che va oltre l’ordinario, in ossequio ai principi generali
del ’ordinamento giuridico italiano.


Così inquadrata, la norma verrà analizzata secondo i canoni ermeneutici del ’ordinamento giuridico
italiano. In primo luogo, verrà quindi letta alla luce del suo significato letterale e del a ratio legis (che si evince dalla lettura del a disposizione), così come inserita nel suo contesto normativo e quindi
del ’intero articolo 18 D.Lgs 286/98.

In secondo luogo, si farà riferimento al principio del ’economicità del ’ordinamento giuridico,
secondo il quale a una lettura priva di significato o ripetitiva di quanto altrove già sancito deve
preferirsene una che consente di fare emergere significati e regole di comportamento ulteriori.

Invero, come si vedrà, la corretta applicazione di tali criteri evita nel caso specifico di giungere a
banali semplificazioni del dettato normativo che leggono nel 6° comma una sorta di ripetizione e
duplicazione di quanto già enunciato dai primi commi del ’art. 18.

 

Segue 2.1 I soggetti legittimati
« Il permesso di soggiorno previsto dal presente articolo [18, ndr] può essere altresì rilasciato (…)
al o straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva, inflitta per i reati commessi
durante la minore età (…)».

La lettura del a norma sotto questo profilo non presenta nodi problematici, si evince chiaramente
che il destinatario è una persona straniera che ha espiato una pena per un reato commesso
durante la minore età, a prescindere se nel frattempo sia divenuto o meno maggiorenne.

Infatti, è noto che, sebbene il fatto criminoso sia commesso durante la minore età, l’esecuzione
del a pena può iniziare o semplicemente terminare molto tempo dopo la commissione del fatto,
quando la persona straniera è gia divenuta maggiorenne.

D’altro canto, non sarebbe risultata costituzionalmente legittima una norma che avesse
consentito di usufruire del ’opportunità di cui al 6° comma solo allorquando la tempestività del
sistema giudiziario e/o la brevità del a pena avessero permesso al reo di terminare la pena prima
del compimento del diciottesimo anno. Inoltre, la disposizione legislativa avrebbe avuto in tal caso
una gamma molto ristretta di potenziali destinatari: i reati quasi sempre vengono commessi da
adolescenti vicini al compimento del a maggiore età; il sistema giudiziario, inoltre, ha i suoi tempi
inevitabili per giungere a una sentenza definitiva, che si sommano alla espiazione pena.

Infine, non è detto che il cittadino straniero debba essere un cittadino irregolare e cioè senza titolo
di soggiorno. L’interesse al permesso di soggiorno per casi speciali rilasciato alla fine del a espiazione
pena, infatti, nasce non solo in capo a chi non è titolare di alcun permesso di soggiorno, ma anche
nel caso contrario. Si pensi, a tal proposito, a un permesso per motivi di minore età, non convertibile
al raggiungimento del a maggiore età in presenza di precedenti ostativi; o a un maggiorenne con
permesso di soggiorno per lavoro subordinato che rischi di ricevere il rifiuto del rinnovo.


La norma, dunque, si limita a richiedere che la minore età sussista solo al momento del a
commissione del fatto penalmente il ecito, per il resto consente l’accesso ad ogni persona straniera
anche maggiorenne e potrà essere rilasciato tanto a chi non è titolare di alcun permesso, quanto a
chi il permesso lo ha già, ma nutre interesse a un diverso titolo legittimante il proprio soggiorno.

 

Segue 2.2. Le condizioni soggettive
La persona straniera che vuole ottenere il titolo di soggiorno qui in esame deve trovarsi « all’atto
delle dimissioni dal ’istituto di pena», aver « terminato l’espiazione di una pena detentiva» e aver
« dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale».

Il legislatore richiede dunque la ricorrenza di una serie di condizioni affinché il cittadino straniero
che abbia commesso un reato durante la minore età possa attivare lo strumento di regolarizzare in
argomento. Nel prosieguo andremo ad analizzarle e ad interpretarle anche alla luce del contesto
normativo in cui sono inserite.


2.2.1 Dopo aver terminato l’espiazione di una pena detentiva: in particolare sul a tipologia di pena
Il primo aspetto da analizzare è quel o relativo alla tipologia di pena scontata dal cittadino
straniero. La norma testualmente si riferisce alla « espiazione di una pena detentiva». Ci si chiede di
conseguenza cosa debba intendersi per « pena detentiva» e per « espiazione». Per chiarire la portata
del e due nozioni è necessario richiamare quanto detto sugli scopi perseguiti dal legislatore che ha
introdotto la speciale tutela in favore dei cittadini stranieri che hanno commesso un reato durante
la minore età


Ripercorrendo l’iter logico del legislatore e i beni giuridici tutelati attraverso l’introduzione del a
norma in esame, si comprende che il legislatore ha voluto fornire garanzie rafforzate ad una
categoria di cittadini stranieri che trovandosi in una condizione di particolare fragilità giuridica e
sociale hanno mostrato un interesse ad intraprendere un percorso di risocializzazione, laddove la
accentuata condizione di vulnerabilità è espressa dalla commissione di un reato durante la minore
età. Per questo l’interpretazione del a locuzione non potrà che far riferimento all’interesse del o
Stato a garantire a questi soggetti la prospettiva di un fruttuoso inserimento sul territorio sociale ed economico italiano, che diventa sempre più pregnante in relazione al a gravità del a fattispecie
criminosa, quale indice di vulnerabilità e fragilità sociale.

Anzitutto, per «pena detentiva» deve semplicemente intendersi ciò che sancisce l’art. 18 del codice
penale, che distingue la totalità del e pene in detentive e pecuniarie. Cosicché, debbono intendersi
detentive (semplicemente) tutte le pene che non sono pecuniarie.

Pertanto, i reati la cui consumazione conduce all’espiazione di una pena detentiva puniscono
condotte piuttosto gravi, la cui commissione da parte di un minore può legittimamente far supporre
l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità. Di contro, le pene pecuniarie perseguono la
repressione di condotte molto meno gravi, rispetto alle quali sarebbe di certo eccessivo presumere
in capo al minore quel a situazione di fragilità che fonda il rilascio del permesso di soggiorno per casi
speciali.

Al o stesso tempo l’espressione «pena detentiva» restringe il campo di applicazione alle sole
limitazioni del a libertà personale che abbiano il contenuto di pena, escludendo dal novero quel e
restrizioni che hanno natura e finalità di misura cautelare. In altri termini, la norma in esame non
potrà trovare applicazione nei casi in cui la persona straniera abbia subito una limitazione del a
libertà personale a causa di una misura cautelare: in questi casi il procedimento giudiziario è ancora
in corso ed è destinato a sfociare in una pronuncia giurisdizionale di innocenza o di colpevolezza.

Solo in quest’ultimo caso, la persona straniera potrà eventualmente rientrare tra i soggetti
legittimati.

L’art.18, comma 6 richiede dunque l’espiazione di una pena definitiva non di tipo pecuniario, a
prescindere dalle modalità con cui in pratica si è dato seguito all’esecuzione del a pena.

Al a luce del a ratio legis come individuata ed analizzata non sarebbe ragionevole nessuna ulteriore
distinzione all’interno del e pene che limitano la libertà individuale del reo. Sarebbe contraddittorio,
in tal senso, escludere i casi in cui la persona straniera abbia fruito di una pena alternativa dopo un
periodo di carcere o di una pena alternativa o sostitutiva sin dall’inizio del a stessa.

Ciò anzitutto in quanto il fondamento del a norma è stato ravvisato nel a commissione di un reato
di una certa rilevanza e non anche in un improbabile risarcimento istituzionale a favore di chi ha
vissuto il carcere con i suoi effetti desocializzanti e criminogeni.

In secondo luogo, si creerebbero del e incostituzionali ed irragionevoli differenze di trattamento
tra chi ha avuto la possibilità di fruire di misure alternative (che addirittura sarebbe destinatario di
un trattamento sfavorevole) da chi tale possibilità non l’ha avuta (che verrebbe agevolato), magari
proprio a causa di comportamenti non compatibili. Si creerebbero situazioni paradossali, come
l’esclusione di un neo maggiorenne che a causa del suo stato di salute precario è riuscito a ottenere la detenzione domiciliare in casa di cura, e solo per questo sarebbe impossibilitato a fruire del a
regolarizzazione di cui al comma 6 art.18.

In generale, le misure alternative, che svolgono una funzione di risocializzazione a vantaggio del
detenuto, andrebbero viceversa a compromettere proprio il suo futuro inserimento nel a società.

Così un magistrato, che crede sia giunto nel ’interesse del a persona il momento di operare un
affidamento in prova, dovrebbe rinunciarvi perché ciò pregiudicherebbe la possibilità di seguire un
più strutturato percorso di stabile inserimento sociale nel contesto italiano.

Evidentemente, una interpretazione tesa ad applicare la norma solo in presenza di una detenzione
in carcere sarebbe contraria alla ratio del a norma, ai principi costituzionali relativi alla funzione
rieducativa del a pena, alle finalità perseguita dall’istituto del e sanzioni alternative, al principio di
uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art.3 cost. e, infine, anche alla lettera stessa del ’art.18 c.p.

che letteralmente distingue solo le pene detentive da quel e pecuniarie.

La giurisprudenza dei tribunali per i minorenni di tutta Italia è uniforme nel senso di riconoscere la
equiparazione, ai fini del a richiesta del titolo di soggiorno di cui all’art. 18 c. 6, del ’esecuzione del a
pena in struttura detentiva o in misura alternativa ( ex multis Trib.min.Nap.Uff.Sorv. dott.ssa Riccio
10.6.20191).

Quanto sopra evidenziato in particolare per le pene alternative può integralmente ripetersi per
quel e sostitutive, tanto più se si pensa che tra queste si annovera anche la semidetenzione, che pur
sempre costringe la persona a trascorrere almeno dieci ore giornaliere dentro l’istituto penitenziario.

Anche per quanto riguarda l’applicazione del ’istituto in esame nel caso di messa alla prova, la
giurisprudenza non rinviene particolari ostacoli all’applicazione del a norma in esame. Questo
istituto, infatti, implica anzitutto che il minore abbia potuto commettere un fatto il ecito anche
abbastanza grave; sancisce, in secondo luogo, la possibilità che il giudice impartisca misure idonee a
riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione con la vittima del reato; ma
soprattutto stabilisce che il minore stesso venga affidato ai servizi minorili del ’amministrazione del a
giustizia, che svolgeranno una serie di attività di osservazione e “trattamento”, solo il cui esito
positivo consentirà al giudice di dichiarare il processo estinto.

In altri termini, il minore è comunque soggetto ad una serie di limitazioni del a propria libertà,
rischia una riapertura del processo con eventuale condanna e probabilmente ha commesso una
reato anche di una certa importanza. Esistono dunque tutti gli elementi per affermare che anche nel
caso di messa alla prova il minore ha diritto di accedere ai programmi di protezione e “inserimento”


1 Pronuncia inedita, in appendice al presente lavoro.


sociale di cui all’art. 18, comma 6: ciò fra l’altro senza ricorrere a una interpretazione analogica,
rientrando una tale operazione ermeneutica tra quel e aventi natura semplicemente estensiva.

Tra le altre, in questo senso, può leggersi il parere emesso dal Tribunale per i minorenni di Napoli
del 3.6.2019 (conforme già il Trib.Min.Roma Uff.Sorv. dott.ssa Spagnoletti 11.3.20042) relativo
all’applicazione del a fattispecie di cui all’art. 18 c. 6 ad un caso di estinzione del reato per esito
positivo del a messa alla prova, in cui il Tribunale interpreta la norma nel senso sopra proposto
argomentando che “ sicchè la posizione del ’imputato deve essere parificato a quel a di chi abbia
espiato una pena detentiva inflitta per reati commessi durante la minore età […], atteso che, una
interpretazione restrittiva del a norma contrasterebbe con la ratio legis che intende offrire una tutale
a chi da minore abbia commesso un reato grave ed abbia poi iniziato un percorso di integrazione
sociale: considerato che l’interpretazione testuale del a norma favorirebbe chi non aveva i requisiti
per poter accedere ad una messa al a prova rispetto chi fin dal ’inizio del percorso penale sia stato in
grado di iniziare un percorso di inserimento sociale, pertanto violerebbe il principio di uguaglianza di
cui al ’art. 3 Cost” ( ex multis GUP Trib dei minorenni di Trieste sentenza 197/2005 RNR 1134/003).


La giurisprudenza invece, non sembra ancora essersi pronunciata relativamente ad alcuni istituti
del processo penale minorile, in merito ai quali l’applicazione del a norma all’art. 18 c. 6 D.Lgs 286/98
TUI potrebbe far sorgere dei dubbi interpretativi.

In primo luogo, rispetto al perdono giudiziario, in quanto seppur si tratta di una sentenza di
proscioglimento, che tra l’altro presuppone che il giudice valuti che il colpevole si asterrà dal
commettere ulteriori reati, è di contro innegabile che si è innanzi a una pronuncia che ha accertato
l’esistenza di tutte le condizioni necessarie per un rinvio a giudizio o per una condanna relativi a un
fatto il ecito che può essere di un certo rilievo (applicazione in concreto di una pena fino ai due anni).

In altri termini, in caso di perdono giudiziario si è innanzi a un minore che ha posto in essere una
condotta il ecita grave. Ciò induce ad includere anche l’ipotesi del perdono giudiziario fra quel i che
danno la possibilità di ricorrere all’art.18, comma 6, seppur con alcune remore che sono legate alla
“forzatura” così operata del a lettera del a norma, in cui si parla di espiazione di una «pena».

 

2 Pronunce inedite, in appendice al presente lavoro.

3 Ben argomentata appare la sentenza 20.9.2015 n.197 del Tribunale per i minorenni di Trieste (in appendice al presente
lavoro) che tra l’altro recita: Ciò posto, non si vede quali ragioni potrebbero giustificare la concessione del permesso al
condannato a pena detentiva e il diniego all’imputato che abbia svolto la messa alla prova con esito positivo. Per il primo si
ha esecuzione del a pena in difetto dei presupposti per la sospensione condizionale del a pena, e quindi in una condizione
personale e sociale più compromessa. Per il secondo si ha sospensione del processo per valutazione del a personalità, in una
situazione di partenza che consenta un giudizio prognostico positivo “sull’evoluzione del a personalità del minore verso
model i socialmente adeguati” (Cass, sez, II, sent. 2879 del 27.1.2004).


Tuttavia, si può fare appel o all’interpretazione analogica che legittimamente permette in caso di
norme di favore il travalicamento
In secondo luogo, rispetto al «non luogo a procedere per irrilevanza del fatto» sembra debba
escludersi l’applicabilità del ’art 18, comma 6 a favore del minore, non tanto perché si tratta di una
assoluzione nel merito (per mancanza di tipicità o se si preferisce di offensività), quanto per le stesse
ragioni che escludono i casi in cui viene inflitta la semplice pena pecuniaria: si tratta di
comportamenti non gravi, non idonei ad integrare le ragioni di tutela che fondano la ratio del a
norma.

Infine, si analizzi l’ipotesi di sospensione condizionale del a pena. In questo caso, il giudice accerta
la commissione di un reato anche abbastanza grave, infligge una pena detentiva che può arrivare
fino alle soglie dei tre anni, ma in seguito a una prognosi favorevole del a personalità del ’imputato
decide di sospendere la pena stessa, a condizione che il reo non commetta altri reati nel periodo
considerato. Cosicché, sembrerebbero ricorrere tutti gli elementi che caratterizzano la norma in
esame, esistendone i presupposti che ne fondano le finalità: la persona ha commesso un reato e
l’ordinamento giuridico ha inflitto una pena detentiva. Il fatto che nel o specifico l’esecuzione sia
stata sospesa non intacca la necessità di intervenire a favore del a persona straniera, al pari di quanto
si è già avuto modo di argomentare a proposito del e pene alternative. Anche in questo caso, ad
esempio, sarebbe contrario alla logica complessiva, oltre che al principio di uguaglianza, concedere
l’opportunità di una regolarizzazione amministrativa a chi ha mostrato di non avere una personalità
adatta alla sospensione del a pena, negando l’uguale possibilità a chi viceversa sin dall’inizio aveva
manifestato una capacità di migliore inserimento nel tessuto sociale.

Per concludere il significato del a locuzione « pena detentiva» deve intendersi come sanzione non
pecuniaria che sottende la commissione di un fatto il ecito rilevante, mentre la nozione di
« espiazione», è da interpretarsi come adempimento del percorso “riabilitativo” individuato dal
giudice.

 

2.2.2 Al ’atto del e dimissioni dal ’istituto di pena e dopo aver terminato l’espiazione del a pena
Infine, rimane da definire la esatta portata del ’affermazione per la quale il permesso di soggiorno
per casi speciali qui in esame viene rilasciato « al ’atto del e dimissioni dal ’istituto di pena» a chi « ha
terminato» l’espiazione di una pena detentiva.

Anzitutto, è chiaro che il legislatore ha preferito stabilire che l’eventuale permesso di soggiorno
venga rilasciato solo allorquando la persona straniera sia fuoriuscita dal carcere e non prima. Ciò ovviamente non toglie, né che la persona possa stare espiando una pena al di fuori del carcere, né
che si possa all’interno del ’istituto di pena ottenere il rilascio o il rinnovo di altro permesso di
soggiorno (per motivi di minore età, di affidamento, di lavoro, di famiglia ecc.), così come
normalmente avviene in rispetto alla normativa vigente4. Come visto, l’interesse al permesso di
soggiorno rilasciato alla fine del a espiazione pena detentiva può infatti esistere anche in capo a chi
è già titolare di un permesso di soggiorno che può incontrare ostacoli nel rinnovo o nel a conversione
Fino a questo punto, si è chiarito come non sia possibile interpretare tale disposizione nel senso
che il permesso può essere rilasciato solo a chi abbia finito di scontare la pena detentiva fino alla fine
all’interno del carcere, escludendo chi al momento in cui termina la pena sia già uscito dalla struttura
detentiva, magari con misura alternativa (o sin dal principio non sia transitato in un istituto di pena).

Si è visto come una tale interpretazione è così tanto contraria alla ratio legis del ’art.18, ai principi
generali del ’ordinamento giuridico (e penitenziario in particolare) e ai valori costituzionali
(soprattutto di uguaglianza) da risultare del tutto improponibile.

Si tratta allora di meglio intendere il senso non tanto o non solo del concetto di « al ’atto del e
dimissioni dal ’istituto di pena», quanto del a nozione di « ha terminato». Al primo concetto, infatti,
può essere data una interpretazione coerente affermando che in ogni caso il permesso non può
essere rilasciato quando la persona ancora si trova in carcere. Dunque, il permesso può essere
accordato solo successivamente alla fuoriuscita dal carcere, non prima.

Il legislatore ha deciso che non è opportuno regolarizzare con un permesso per casi speciali chi
ancora vive dentro una struttura penitenziaria. La scelta è opinabile, ma non sembra entrare in
contrasto con i principi sopra evidenziati. Di contro, è lapalissiano che la norma non può essere letta
nel senso di consentire il rilascio « solo al momento del ’atto del e dimissioni», ma nel significato di
permettere il rilascio « non prima del ’atto del e dimissioni».

La disposizione dunque non pretende come requisito imprescindibile che ci sia coincidenza fra la
fine pena e la dimissione dall’istituto penitenziario, ma stabilisce che nel caso in cui la persona debba
scontare anche solo una parte del a pena in carcere, il permesso non potrà esserle rilasciato se non
dopo che sia fuoriuscita dal carcere medesimo. Dunque la disposizione va letta nel senso di
consentire il rilascio « non prima dell’atto delle dimissioni dall’istituto di pena».

Il vero problema interpretativo si concentra viceversa sul secondo punto, ossia sul a affermazione
che sancisce il rilascio del permesso quando la persona « ha terminato» di espiare la pena. Potrebbe,
infatti, legittimamente affermarsi che la locuzione significa che il permesso sarà rilasciato al


4 Il principio invero è oggetto di interpretazioni contrastanti da parte del a P.A.

momento in cui è ultimato il percorso e non anche prima: probabilmente anche per evitare di
regolarizzare una persona straniera prima che abbia del tutto scontato le conseguenze del ’il ecito
penale consumato. In definitiva, il permesso, secondo questa prima interpretazione, sarebbe
rilasciabile non solo a condizione che la persona sia fuoriuscita dal carcere, ma solo a patto di avere
finito di espiare l’intera pena. Cosicché, l’attivazione del programma di inserimento sociale
partirebbe prima, ma la regolarizzazione sarebbe praticabile solo dopo la fine del a misura
alternativa, del a messa in prova, del a sospensione del a pena e così via.

Si tratta sicuramente di una interpretazione possibile, molto restrittiva, ma in definitiva praticabile.

Tuttavia, è prospettabile un’altra lettura, maggiormente rispondente non solo alla ratio
complessiva del a norma in esame, ma anche del e finalità perseguite dal sistema del e misure
alternative e sostitutive. Si potrebbe, senza forzare la lettera, ritenere che ancora una volta la
locuzione in esame («ha finito di espiare») si riferisca al solo aspetto del a detenzione in carcere, così
da fare da pendant con la precedente affermazione relativa all’atto di «dimissione dall’istituto di
pena». Nel caso di detenzione, cioè, è necessario che la persona straniera abbia finito del tutto di
espiare la parte (solo eventuale) che è previsto trascorra in carcere. Finita questa parte della pena,
sarà allora possibile il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali, anche in presenza di una
residuale parte da espiare secondo modalità differenti dalla reclusione in istituto penitenziario.

Si tratta, in definitiva, di due interpretazioni possibili, anche se seguire la prima potrebbe significare
assistere a dei casi di persone che da tempo si trovano in affidamento in prova o messa alla prova o
in altre situazione di forte “integrazione sociale”, avendo anche da tempo seguito un programma in
tal senso, ma che rimangono impossibilitate ad accedere a una forma di regolarizzazione pur prevista
per legge.


2.2.3. L’ulteriore presupposto del a concreta partecipazione ad un programma di assistenza e
integrazione sociale.

Infine, l’art. 18 comma 6 richiede, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, che il cittadino
straniero abbia dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione
sociale.

La norma fa riferimento a un programma di assistenza e integrazione sociale senza, tuttavia,
specificarne i contenuti, a differenza di quanto previsto per l’istituto regolato dai primi commi
del ’art. 18 T.U.Imm, che fanno rinvio all’art. 25 e ss. del DPR 394/99 (regolamento di attuazione del
Testo Unico Immigrazione) per disciplinarne i contenuti e le modalità di control o da parte del
Ministero. Nella prassi applicativa, tuttavia, sembra pacifico che il cittadino straniero che richiede il
permesso di soggiorno ai sensi del comma 6 possa, nel caso, fruire dei programmi da ultimo citati.


In altri termini, si riscontrano numerosi casi in cui l’ulteriore presupposto del ’art. 18 comma 6
(l’aver dato prova concreta di partecipazione a un programma di assistenza e integrazione sociale) si
sia ritenuto integrato sia nei casi di programmi costruiti ad hoc dai servizi sociali o dagli enti non
governativi, sia nel e ipotesi di inserimento del cittadino straniero nei programmi predefiniti e pre-
approvati utilizzati dagli enti accreditati per l’espletamento dei percorsi di cui all’art. 18 nei suoi
primi commi5.

3. I soggetti titolari del potere di impulso e la competenza della Questura nel rilascio

L’art. 18 comma 6 stabilisce che il permesso venga rilasciato « anche su proposta del procuratore
del a Repubblica o del giudice di sorveglianza presso il tribunale dei minori».

Il legislatore, a proposito dei soggetti coinvolti e dei ruoli loro attribuiti, ha voluto senza dubbio
ricalcare il model o di cui ai primi commi dell’art.18. Si tratta del cosiddetto “doppio binario”,
secondo cui l’iniziativa del a speciale regolarizzazione è affidata o agli attori sociali legittimati (servizi
sociali, enti locali e associazionismo iscritto nel e speciali liste di cui all’art.27 Dpr. 394/99) o
all’autorità amministrativa e giudiziaria.

Quest’ultima, tuttavia, nel caso specifico non è costituita soltanto dal procuratore, ma anche dal
giudice di sorveglianza presso il Tribunale dei minorenni, ciò in quanto, il soggetto legittimato è un
minore di età o un neomaggiorenne (che ha commesso il reato da minorenne), scatterebbero i noti
meccanismi di tutela suppletiva che attribuiscono alla figura del giudice di sorveglianza del tribunale
dei minorenni un ruolo del tutto peculiare. L’interpretazione sistematica del a normativa sopra
proposta comporta che il giudice competente oltre al Magistrato di sorveglianza possa essere anche
il giudice del dibattimento, laddove sia applicata anche nei casi di estinzione del reato che non
comportano l’esecuzione di una pena, quale la buona riuscita del a messa alla prova6.

 

5 Non è possibile in questa sede approfondire la tematica del ’opportunità per tutti i c.d. enti antitratta che vengono finanziati dallo Stato per l’espletamento dei programmi di cui all’art. 18 ai primi commi di considerare praticabili le prese in carico dei cittadini stranieri ai sensi dell’art. 18 comma 6. Tuttavia, è utile ricordare che la scarsa applicazione dell’istituto di cui al ’art.

18 comma 6 è probabilmente dovuta anche alla errata (a giudizio di chi scrive) convinzione dei c.d. enti antitratta di non
essere competenti per l’espletamento di tali progetti. Se questi enti ritenessero correttamente di poter rendicontare le prese in carico art. 18 comma 6, molto probabilmente questo istituto inizierebbe a trovare una applicazione più sistematica sul ’intero territorio nazionale.

6 V. la già citata sentenza n.197 del Tribunale per i minorenni di Trieste (in appendice).

Se da un lato la norma attribuisce alla magistratura competente di avanzare la richiesta di rilascio
del titolo di soggiorno, dall’altro è senz’altro pacifico che il legislatore abbia voluto - con l’espressione
«anche su proposta» - ripetere lo schema esposto nei commi precedenti del ’art. 18 D.Lgs 286/98,
attribuendo in particolare all’associazionismo e ai servizi sociali competenti un ruolo determinante,
di impulso e di iniziativa nel a richiesta di rilascio del titolo di soggiorno
Nel caso di specie, i soggetti legittimati sono le associazioni iscritte nel e speciali liste di cui all’art.27
Dpr. 394/99,e gli Enti Locali mentre i servizi sociali pubblici coinvolti in area penale sono costituiti in
primo luogo dal CSSA e dal’USSM, essendo questi i soggetti che istituzionalmente sono preposti
all’assistenza (rispettivamente) dei maggiorenni e dei minorenni (giovani adulti) che dal carcere
transitano al “mondo esterno” in continuazione di espiazione pena. A questi soggetti si aggiungono
i servizi sociali comunali, a cui di norma è riconosciuta piena legittimazione.

Ovviamente, il rilascio del permesso di soggiorno rimane compito esclusivo del a Questura del
luogo in cui la persona straniera ha stabilito il proprio domicilio, ma pur sempre in base all’esistenza
dei requisiti richiesti dalla legge.

Seguendo l’impostazione già col audata del doppio binario nel e ipotesi dei commi precedenti
del ’art. 18, la norma prevede che la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno al cittadino
straniero in possesso dei requisiti sopra visti sia avanzata dalla magistratura (giudice del a
sorveglianza, del dibattimento o pubblico ministero presso il tribunale dei minorenni) oppure
dall’associazione, dall’Ente locale o dai servizi sociali. Nel primo caso è direttamente il pubblico
ministero o il giudice che – valutata l’ integrazione dei requisiti richiesti dalla norma e quindi anche
la concreta partecipazione al programma di integrazione – avanza la richiesta di rilascio del permesso
di soggiorno alla Questura competente.

In questo caso non residua in capo alla Questura alcun margine di discrezionalità sul a valutazione
dei requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno, provenendo la più completa verifica del a
ricorrenza deli elementi costitutivi dalla magistratura.

Al contrario, laddove la richiesta provenga da un soggetto terzo – pubblico o privato – la Questura
competente potrà verificare la ricorrenza dei requisiti previsti dalla norma. È proprio rispetto a
quest’ultima situazione che sono sanciti maggiori poteri di accertamento del a questura. Infatti, se
di norma, quest’ultima si limita a verificare che vi sia stata una presa in carico da parte dei servizi
sociali o del e associazioni competenti, in questo caso dovrà vagliare due ulteriori requisiti. Il primo,
consiste nel ’accertare che il programma di assistenza e integrazione sociale sia stato già predisposto
e abbia avuto inizio; il secondo, è costituito dal valutare che la persona abbia «dato prova concreta
di partecipazione», ossia che non solo vi sia stata adesione al sopramenzionato programma, ma
anche che questo sia stato intrapreso in concreto, ossia con iniziali risultati positivi. In pratica il legislatore esige maggiori sicurezze sul a effettiva possibilità di un “inserimento sociale”; a tal proposito, attribuisce (tra l’altro) all’autorità amministrativa un ulteriore potere di controllo.

Di contro, si noti che molto probabilmente deve precludersi una capacità del a questura di indagare
nel merito circa la partecipazione positiva al programma da parte del a persona straniera, dovendosi
invece limitare ad accertare la veridicità dei fatti affermati dai servizi sociali (pubblici e privati) e non
anche la loro valutazione. La questura, dunque, accerta che effettivamente la persona straniera
abbia posto in essere le azioni predisposte nel programma, senza tuttavia potere sindacare sul a
congruità del o stesso, che infatti viene apprestato da soggetti (associazioni iscritte e servizi sociali)
che hanno già ricevuto una “approvazione” statale del loro operato (che potrà ovviamente essere
messo in discussione, ma solo dalla autorità governativa competente a tal scopo).

Avverso il provvedimento di rifiuto del a Questura competente che non ritiene sussistenti i requisiti
di cui all’art. 18 c. 6 D.Lgs 286/98 si potrà sempre presentare ricorso al Tribunale sede del a sezione
specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolare dei cittadini
dell’Unione Europea del luogo in cui ha sede l’autorità che ha adottato il provvedimento impugnato
( art. 19 ter Dlgs 150/2011) e potrà essere richiesta la sospensione del ’efficacia esecutiva del
provvedimento impugnato laddove lo stato di irregolarità possa esporre il cittadino straniero a grave
pericolo (l’interruzione del percorso lavorativo e di integrazione, rischio di rimpatrio ecc.).


3.1 La non ostatività dei reati commessi prima della emanazione del parere

Nel presente paragrafo ci si interrogherà su cosa accade al permesso di soggiorno per casi speciali
che viene rilasciato nel ’ambito del ’art. 18 c. 6 D.Lgs quando, alla scadenza, ne viene richiesta la
conversione in altro permesso di soggiorno.

In base agli artt. 5 c. 5 e 4 c. 3 del D.Lgs 286/98 il permesso di soggiorno non è rilasciato o rinnovato
se il cittadino straniero che lo richiede è considerato un pericolo per l’ordine pubblico, oppure se
risulta condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei reati lì indicati7. Tale previsione
7 Non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine
pubblico o la sicurezza del o Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei
controlli alle frontiere interne e la libera circolazione del e persone o che risulti condannato, anche con sentenza non
definitiva, compresa quel a adottata a seguito di applicazione del a pena su richiesta ai sensi del 'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati
inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento del 'immigrazione clandestina verso l'Italia e
del 'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla
prostituzione o allo sfruttamento del a prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l'ingresso dello
straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dal e disposizioni del titolo III,
capo III, sezione II, del a legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 sembrerebbe rendere la condanna per la quale il richiedente ha scontato la pena e partecipato al
programma di risocializzazione ostativa alla conversione del permesso di soggiorno rilasciato in base
all’art. 18 c. 6 in altro titolo di soggiorno ordinario per lavoro o studio.

Al contrario, deve ritenersi che la condanna per uno dei reati indicati negli artt. 4 e 5 del D.Lgs
286/98 non possa essere considerata ostativa, laddove è la condanna stessa è ad essere un requisito
indispensabile per il riconoscimento e rilascio del titolo di soggiorno, insieme al percorso di
risocializzazione che ne annienta la portata negativa.

Il permesso di soggiorno di cui all’art. 18 c. 6 è, come visto, lo strumento attraverso il quale
l’ordinamento va a tutelare il cittadino straniero che si trova a causa del a minore età in una
condizione di vulnerabilità peculiare e lo fa superando l’ostacolo che la commissione di determinati
reati impone alla regolarizzazione del cittadino straniero. E’ con il rilascio del titolo di soggiorno che
la portata negativa e l’indice di pericolosità espressi dalla condanna sono assorbiti e non potranno
più essere rivalutati successivamente, a costo di mettere in discussione l’impianto stesso del e scelte
legislative.

Invero è proprio l’iter visto sul rilascio del permesso di soggiorno che porta a chiarificare ancora
meglio l’interpretazione data. Si pensi che un passaggio fondamentale è quel o del a valutazione sul a
concreta partecipazione al programma di integrazione che viene effettuato dai soggetti che possono
richiedere il rilascio del permesso di soggiorno e sul a base del quale viene positivamente valutato il
grado di risocializzazione e la mancanza di pericolosità del cittadino straniero.

Al a luce di quanto detto, va di conseguenza che i reati per i quali non scatta il meccanismo del a
ostatività sono quel i commessi fino alla valutazione del ’adesione al percorso di risocializzazione, sia
che questi siano stati commessi durante la minore età o la maggiore età. Infatti ciò che rileva è il
parere fornito dai soggetti che richiedono il rilascio del titolo di soggiorno del percorso rieducativo
svolto e quindi del a emancipazione dalla condotta criminale.


del codice penale, nonché' dal 'articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dal 'articolo 24 del regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773.

8 8 Non e' ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi tali requisiti o che sia considerato una minaccia per l'ordine
pubblico o la sicurezza del o Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei
controlli alle frontiere interne e la libera circolazione del e persone o che risulti condannato, anche con sentenza non
definitiva, compresa quel a adottata a seguito di applicazione del a pena su richiesta ai sensi del 'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati
inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento del 'immigrazione clandestina verso l'Italia e
del 'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla
prostituzione o allo sfruttamento del a prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l'ingresso dello
straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III,
capo III, sezione II, del a legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del

 


Tale interpretazione è confermata anche dalla prassi che si è sviluppata in relazione ai permessi di
soggiorno rilasciati nel ’ambito del ’art. 18 c. 1 e 2 DLgs 286/98 (cittadini/e stranieri/e in condizioni di
sfruttamento o vittime di violenza esposte a grave pericolo per la loro incolumità) quando questi sono
rilasciati ad esempio alle vittime del a tratta, le quali abbiano commesso attività il ecite mentre si
trovavano in condizione di sfruttamento.

Per concludere, lo scopo di tutela del cittadino straniero delineato dall’art. 18 c. 6 si completa con la
previsione di rendere non ostativa la condanna in sede di conversione, tanto che la stessa è requisito
del rilascio del titolo di soggiorno e sintomo del a peculiare vulnerabilità protetta dal legislatore.

 

4. Conclusioni

Volendo brevemente compendiare quanto fin qui esposto, può dirsi che l’art 18, comma 6 prevede
il rilascio (su iniziativa del procuratore, del magistrato di sorveglianza del tribunale dei minori, del
giudice del dibattimento, dei servizi sociali competenti o di una associazione/Ente accreditata) di un
permesso di soggiorno per casi speciali (valido 6 mesi, rinnovabile per un ulteriore anno e
convertibile in motivi di lavoro o studio) a favore del e persone straniere (maggiorenni o minorenni)
che durante la minore età hanno commesso un reato punito con pena detentiva e per il quale sono
state condannate (eventualmente anche con sospensione) a una detenzione, a una pena alternativa
o sostitutiva ovvero a una messa in prova (forse anche con perdono giudiziario), finita di scontare
(solo per la parte relativa alla eventuale detenzione in carcere), e che hanno intrapreso
positivamente un “programma di assistenza e integrazione sociale” sostenuto dai servizi sociali
competenti o da una associazione accreditata.

 

codice penale, nonché dall'articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'articolo 24 del regio decreto 18
giugno 1931, n. 773.


5. Appendice: alcuni precedenti giurisdizionali

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